Clara Minissale

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Pranzare nel secondo migliore ristorante al mondo: il mio viaggio al Celler de Can Roca

“Perfect pairing of food, dessert and wine from Spain’s famous culinary trio”,  dicono gli esperti di The World’s 50 Best Restaurant, la classifica dei migliori ristoranti al mondo: abbinamenti perfetti di cibo, vino e dessert, sublimati, aggiungo, da un lavoro di sala strepitoso. Perché al Celler de Can Roca, il ristorante dei fratelli Josep, Joan e Jordi Roca, a Girona, in Spagna, numero 2 della classifica mondiale, da quando entri a quando vai via, sei parte di uno spettacolo maestoso che si muove su due palcoscenici – cucina e sala – che trovano il punto di fusione perfetto sul tuo tavolo.

la cucina del Celler de Can Roca

L’ospite è al centro dell’attenzione dei venticinque camerieri che si muovono in sala, intrecciandosi e intersecandosi tra vassoi da cogliere al volo e veloci sguardi d’intesa, senza mai dare la sensazione di affollamento, confusione, sovrapposizione. Nonostante il numero consistente, la loro è una presenza discreta che si manifesta in maniera compiuta quando il piatto arriva in tavola. I loro movimenti mi fanno pensare ad un’orchestra ben affiatata nella quale tutti suonano una melodia così concepita per dare risalto ad alcuni elementi. Che sono, naturalmente, i piatti che arrivano in tavola, i vini serviti in abbinamento, ma anche il lavoro di chi questi piatti te li serve e racconta.

Enrico mi spiega che questa è la lavagna sulla quale i fratelli Roca prendono appunti: idee, spunti, riflessioni

Io ho al mio fianco per tutto il pranzo Enrico, 26 anni, ex architetto di origini colombiane che ha già vissuto in Svizzera, Italia, America e chissà in quanti altri posti. Passa con assoluta nonchalance dallo spagnolo, all’italiano, all’inglese con una proprietà di linguaggio e un ardore invidiabili. Racconta tutti i piatti come se fosse stato lui a pensarli e cucinarli, con impeto, passione, dovizia di particolari. Risponde con occhi sorridenti e parole convincenti a tutte le mie domande su ingredienti, cucina, sala. E inizio il mio pranzo con la convinzione, sempre più salda, che il personale di sala adeguatamente preparato e formato, è l’upgrade fondamentale. Essendo il legame più immediato tra la cucina e il cliente, può (e deve) fare la differenza.

In cucina al Celler de Can Roca ci sono circa 60 persone, ciascuno con il proprio spazio e il proprio compito. La macchina deve muoversi su tempi precisi perché tutto funzioni al meglio dato che un pranzo o una cena non durano meno di quattro ore.

La sala è ariosa, accogliente, luminosa e le pareti a vetri che la richiudono per metà, custodiscono un giardino alberato su quale lo sguardo si posa in pausa tra i movimenti che ruotano intorno.

Tutto è fluido nonostante le tre stelle Michelin. Tutto è fluido grazie alle tre stelle Michelin, che al ristorante di Girona rappresentano anche la possibilità di scegliere di avere un servizio attento, puntuale e informale. Non c’è la perfezione qui. Può succedere che un cameriere, versando il vino, macchi la tovaglia. Le posate non sono ai giusti centimetri dal bordo tavolo ma fa tutto parte di una scelta precisa, quella di far rilassare gli ospiti perché si godano il viaggio.

il mappamondo, assaggi da Messico, Singapore, Egitto, Turchia, Perù

gelato di oliva verde e tempura di olive nere

E il mio di viaggio è durato più di quattro ore ed è stato scandito dalle portate del menu Festival. Lo so, detto così sembra un tempo interminabile ma posso dirvi con assoluta franchezza che me lo sono goduto tutto. A cominciare dalla serie di benvenuto dello chef: il mappamondo che racchiude le esperienze fatte in giro per il mondo: Messico, Singapore, Egitto, Turchia, Perù; l’olivo bonsai che offre, direttamente dai suoi rami, gelato di oliva verde e tempura di olive nere; il Bar di Can Roca, ovvero assaggi di piatti che hanno fatto la storia del bar di periferia dove, negli anni 70, è cominciata l’avventura dei tre fratelli, e via così con una decina di piccoli aperitivi che preparano alle portate del menu. Festival ne prevede quindici che, come spiega Enrico, comprendono portate più sperimentali e grandi classici.

mari e monti

Si comincia con Mari e Monti, un piatto che rimanda alla primavera in acqua, con mousse di plancton, pipe di alga, salicornia, funghi, foglie di barbabietola e olio al prezzemolo, in cui dominano una leggera salinità ed una acidità che ripulisce ogni boccone stimolando il desiderio di quello successivo.

insalata arancione

Si continua con l’insalata arancione: purea di patata dolce, purea di carota, zafferano, aceto, marmellata di yuzu, mandarino, mela, succo d’arancia, zenzero, mango alla brace, barbabietola gialla, insalata di radici di pastinaca, topinambur, bottarga e tonno affumicato. Un piatto tra i più godibili del menu, con continui rimandi ora alla dolcezza, ora all’acidità e con una nota fresca sempre presente. Ottimo.

sottaceti di primavera

Poi i “Sottaceti di primavera con salsa di noci”, che nasce dalla tradizione locale, ampiamente rimaneggiata: sottaceti di indivia, fiore di mora, fiore di oxalis, germogli di malva, caviale di agrumi e tabasco. Un piatto fresco, anche questo con una punta di acidità che predomina e un gusto complessivo che ricorda il salmorejo andaluso.

piselli e vaniglia

Quindi i piselli diventano protagonisti, serviti saltati, con emulsione del baccello e vaniglia. Una rivisitazione di un piatto tipico della Catalunya che arriva in tavola con piselli grigliati e in purea con l’accompagnamento di tre salse, una fatta con le foglie degli stessi piselli, una con pistacchio e vaniglia e un’altra con le cime dei piselli fermentate, il tutto condito con olio alla vaniglia. Qui a dominare è il sapore dei piselli arrosto ed è simpatico il rimando alla bacca di vaniglia ricreata, invece, con le cime del legume.

ajoblanco di sgombro

Si torna in Andalusia con “Ajoblanco di sgombro”, un piatto delicato anche per chi, come me, non ama il sapore dell’aglio. Preparato con una purea fatta con aglio bianco e mandorle – una consistenza morbida, come se fosse una panna cotta e un gusto rotondo, raffinato – sulla quale viene adagiata la pelle dello sgombro e il pesce è servito accanto, crudo, accompagnato con capperi. Un gioco visivo prima ancora che gustativo. Godibilissimo.

asparagi con anemoni di mare

Si prosegue con “Asparagi con anemoni di mare”, con l’asparago servito grigliato, cotto al vapore e bollito, accompagnato da aria di noce di macadamia e salsa di anemoni di mare. Questo è risultato il piatto meno convincente del menu, con i toni acidi spinti all’estremo che non hanno permesso di gustarne pienamente le varie componenti.

gambero di Palamos

A seguire “Gambero di Palamos” marinato in aceto di riso, con vellutata di gambero, spugna di plancton e alghe e testa e zampe liofilizzate e fritte in tempura. Per un siciliano abituato a mangiare tutto del gambero, questo piatto è come un ritorno a casa. Per tutti gli altri, gambero all’ennesima potenza.

scampi con salsa sobrasada

Si prosegue con Scampi con salsa “sobrasada”, vellutata di scampi e gelée di prezzemolo, con il crostaceo servito grigliato con una salsa che ricorda vagamente la ‘nduia e alga fritta in tempura.

nasello

Quindi è la volta di uno dei piatti più buoni del menu, il nasello che viene lavorato come se fosse baccalà, lasciato nel sale per due settimane, poi cotto per un giorno a 50 gradi e con le sue spine si ricava una salsa carica di sapore, accompagnata con aria di rucola e peperoncini piparras alla griglia. Un piatto delicato, gustoso, intenso.

 

triglia al vapore

Segue una triglia al vapore cotta ad altissima temperatura (il tempo è di circa 1 minuto di cottura per ogni 100 grammi), servita con alga, patate e anemoni di mare.

La parte salata si conclude con due portate di carne, pollo ruspante e pastrami di vitello.

pollo ruspante con cresta

Il primo è servito con la cresta, il petto è accompagnato dal pomodoro e la coscia da menta e anice. Completano il piatto un patè fatto con i fegatini, una salsa che è un concentrato di sapore di pollo ricavata cuocendo a lungo tutte le parti dell’animale, sedano rapa e limone per rinfrescare.

pastrami di vitello

Nel secondo, la  carne è cotta per due giorni a 55 gradi e accompagnata da una purea di sedano rapa con rapa affumicata cruda, carote crude e pera cotta nel vino e affumicata.

Si fa una breve pausa, passa tra i tavoli Josep Roca per sincerarsi che vada tutto bene, che gli ospiti siano a loro agio. Poi si comincia con i dessert. Tre quelli previsti nel menu Festival.

petricore

Petricore è un distillato di terra, gelato di sciroppo di pino, biscotto di carruba, polvere di abete e terra di cacao. Un dolce che va annusato prima ancora di essere assaggiato e che rimanda immediatamente alla freschezza delle passeggiate nel bosco, all’odore inconfondibile di terra umida. Odori che diventano sapori e amplificano immagini e suggestioni. Intenso.

 

fiore bianco

Fiore bianco, il dolce che segue, è un capolavoro di bellezza e bontà. Si presenta al tavolo come una sfera madreperlacea che, una volta aperta, svela il suo contenuto di fiori di sambuco, acacia, fiori d’arancio, guanabana (un frutto tropicale), litchi e mela verde e gelato al miele. Amabile.

torta al whisky

L’ultimo dolce in carta è la torta al whisky con biscotto ubriacato con Mc Callan invecchiato 12 anni, gelato alla crema e mandorle. Non regge il confronto con i primi due dessert.

viaggio all’Havana

Il mio percorso gastronomico al Celler de Can Roca, però, non poteva non concludersi con il dessert iconico di Jordi Roca, quel viaggio all’Havana che stava da tempo nella mia wish list: un sigaro di cioccolato al latte ripieno di una crema aromatizzata al sigaro e accompagnato da un moijto con crema di limone, granita di menta e caramelline al rum. Ogni morso è una boccata aromatica al sigaro ma ci pensa il moijto, poi, a rinfrescarvi, dando un’idea ben precisa del perché il più giovane dei fratelli Roca sia stato insignito del titolo di miglior pasticcere al mondo nel 2014. Concludere un pasto importante con ottimi dessert, che tengano il ritmo di gusto e creatività, è un fatto spesso sottovalutato nei ristoranti stellati. Ma non al Celler de Can Roca.

 

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