Alla scoperta di Ustica, tra arte, storia, cucina della tradizione, prodotti unici
È difficile spiegare cosa significhi vivere su un’isola, dove tutto è scandito dal mare. La vita si adatta al suo governo e cose che altrove sembrano semplici e normali, su un’isola possono diventare straordinarie. Come lo è pensare che Ustica, a 67 chilometri a nord ovest di Palermo, nel mar Tirreno, potesse essere stata centro di produzione ed esportazione di grano, cenere e soda prima e di cereali, meloni retati e legumi poi. La presenza di lunghe distese di terreni pianeggianti ha da sempre favorito l’agricoltura, sostenuta da suoli lavici ricchi di nutrienti e sull’isola si è affermata una solida comunità agricola a discapito delle attività marinare che sono rimaste abbastanza marginali.
Così, andando in giro per vie asfaltate e sentieri in terra battuta, scopri intere distese di coltivazioni di lenticchie, diventate, negli anni il prodotto di punta, vero vanto di agricoltura e gastronomia e dal 2000 presidio Slow Food; filari di viti che degradano verso il mare e che vengono protetti dal vento, che qui soffia spesso inclemente, da fitte barriere di fichi d’India. Ma trovi anche ortaggi e frutta, tutto autoprodotto in sfida al mare e alle sue bizze che spesso tiene lontani gli usticesi dall’isola più grande, la Sicilia, per intere settimane impedendo scorte e rifornimenti di materie prime.
Il mare e i venti scandiscono il tempo e gli isolani hanno imparato a conviverci in secoli di storia. La piccola comunità usticese – 1200 abitanti all’anagrafe, non più di ottocento i coraggiosi che vivono sull’isola tutto l’anno – porta avanti aziende agricole che garantiscono un minimo di autosufficienza, un Centro di Studi e documentazione molto attivo che promuove attività e iniziative per favorire la conoscenza e il recupero del patrimonio culturale e il cui presidente onorario, Vito Ailara, per tutti zio Vito, è uno splendido cantore della storia dell’isola.
Qui si trovano anche un museo archeologico ricco di oggetti e suppellettili ed uno vulcanologico che racconta la nascita dell’isola, anch’essa, come già molte altre intorno alla Sicilia, di origine vulcanica.
E ci sono giovani guide esperte di terra e mare e associazioni turistiche come Visitustica.it che, insieme con l’Area Marina Protetta, si fanno in quattro per far conoscere l’isola e le sue bellezze.
Si farebbe dunque un grande errore a pensare che Ustica sia solo mare. Qui ci sono storia, archeologia, natura, agricoltura, enogastronomia che alimentano l’altra risorsa importantissima, il turismo. E sebbene il giro dell’isola in barca sia ancora una delle attrattive principali per i visitatori, motivo di vanto per gli usticesi così come la ricchezza dei fondali, non va sottovalutata la bellezza di una passeggiata lungo il sentiero di mezzogiorno che parte dalla Torre di Santa Maria e arriva fino al faro di Punta Gavazzi. Quattro chilometri e mezzo nel parco naturale tra flora e fauna locali, meglio ancora se percorsi con una giovane guida esperta ed entusiasta come la biologa marina Annalisa Patania, che illustra le numerose specie che si incontrano lungo il cammino: fichi d’india, assenzio, aglio selvatico, capperi, more, lentisco, ginestra e via così.
Il mare di Ustica è area marina protetta, paradiso per gli amanti delle immersioni. Qui vivono e si incontrano numerose specie tra cui la Posidonia oceanica, la cernia bruna, tonni, ricciole, dentici, barracuda, occhiate, polpi e aragoste.
Il centro abitato si è sviluppato intorno al porto e arrivando in nave o aliscafo si riesce a percepirne e abbracciarne con lo sguardo una buona parte. E come ogni piccolo centro che si rispetti, anche qui la vita è scandita da incontri e appuntamenti in piazza – l’unica – alla fine della quale si staglia il prospetto della chiesa che si trova esattamente all’incrocio tra due assi principali, uno dei quali porta alla Rocca della Falconiera, rifugio durante le incursioni corsare nei primi anni dalla colonizzazione e ottimo punto panoramico per avere una visione dall’alto del porto e dei sui dintorni, nonché sede del museo vulcanologico.
Il prodotto principale dell’agricoltura dell’isola sono le lenticchie, le più piccole d’Italia, particolarmente gustose e nutrienti grazie alle caratteristiche dei terreni in cui vengono coltivate e intorno a questo legume tutelato da Slow Food, ruota buona parte della gastronomia usticese e anche della sua economia.
Qui con le lenticchie si fanno molte preparazioni. Ci sono i “Natalini”, biscotti creati da Maria Cristina Natale, storica figura dell’isola che nonostante i suoi ottant’anni, ha ancora energia e voglia di impastare e prepara assaggi prelibati e conserve anche su richiesta.
E poi le panelle del ristorante “Il faraglione”, a pochi metri dal porto (molto buoni qui anche gli spaghetti con crema di zucchine alla menta, battuto di gambero e mandorle tostate). E ancora la caponata di lenticchie e le arancine ripiene del legume, creazione di Elsa Zanca che con la sorella Katia e il marito di quest’ultima, Salvo Tranchina, gestisce il Kiki’s bar (assolutamente da non perdere anche le polpette di finocchietto e cipolla in agrodolce), uno dei pochi locali ad essere aperto tutto l’anno, rifugio e consolazione dei giovani del posto. Immancabili, naturalmente, zuppe e insalate proposte dai ristoranti e trattorie, spesso arricchite da gamberetto locale appena pescato.
A proposito di gamberetti, se fate sosta al ristorante Carruba, chiedete i parapandoli, tipici usticesi, serviti crudi, marinati con olio e limone: una squisitezza.
Tra un pasto e l’altro, si può assaggiare la pizza usticese, fatta con pasta lievitata, salsa di pomodoro e aglio, da portare come spuntino al mare o da gustare passeggiando per le vie del paese.
E quando, tra una camminata e l’altra, arrivate a casa del Mancino, un uomo minuto e fortemente espressivo, un tempo grande pescatore di ricciole, fermatevi ad osservarlo e ascoltarlo. “É l’unico che conosca tutti i segreti di questa pesca”, si mormora tra i vicoli nei pressi di casa sua e anche lunico a possedere l’arte dell’intreccio delle nasse di ulivo selvatico e giunco che si usano per la pesca. Un’arte che si perderà con lui “perché – dice – oggi nessuno ha veramente voglia di imparare”. Fino all’anno scorso il Mancino, al secolo Vincenzo Caminita, con i suoi ottantanove anni suonati è andato per mare, quel mare che, dice, gli ha insegnato a diventare uomo. Oggi sta seduto su uno sgabello davanti alla porta di casa, intreccia e racconta di quando salì su una barca per la prima volta a cinque anni e imparò a fare tesoro degli insegnamenti di suo padre: “saper fare da mangiare e saper dormine”, ciò che serve ad un uomo per sopravvivere. La sua specialità sono le polpette di barracuda e non è raro trovarlo in cucina tra una nassa e l’altra.
Storia, archeologia, natura, agricoltura, enogastronomia e, naturalmente, mare, che comanda e seduce con trasparenze cristalline e colori di tutta la gamma dei blu. Un’isola, per usare le parole di Omero, a cui “all’intorno il mare infinito fa da corona”.
Lascia un commento