Clara Minissale

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Semi antichissimi e tecnologia: così si salvano i vitigni siciliani

È stato fondato con Regio Decreto nel 1885 e ha dato un contributo fondamentale alla salvaguardia e alla conservazione della vite in Sicilia. Oggi il vivaio Paulsen è ancora lì dove è stato creato oltre centotrenta anni fa e fa capo alla Regione siciliana, all’assessorato all’Agricoltura per la precisione. Nei suoi campi di via Roccazzo, tra la collina di Baida e il dirimpettaio Istituto Zootecnico, tecnici agronomi ed enologi si occupano della conservazione del germoplasma vegetale, di ricerca e sperimentazione agricola, di produzione e vendita di materiale vegetale e di servizi di consulenza ed assistenza tecnica.

Campi del vivaio Paulsen - alberi da frutto e viti

Campi del vivaio Paulsen – alberi da frutto e viti

Nel 1885, anno della sua istituzione, si chiamava “Stazione agraria sperimentale di Palermo” e di lì a poco sarebbe diventata il centro nevralgico delle sperimentazioni necessarie a far sopravvivere la vite alla fillossera, l’insetto che attacca le radici delle piante e che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ha distrutto tutte le viti mettendo a serio rischio l’enologia nazionale. A capo della brigata anti-fillossera c’era Federico Paulsen, romano esperto in scienze agrarie per avere studiato a Portici nel napoletano prima e a Montpellier in Francia poi. Paulsen venne inviato in missione in Sicilia dall’allora ministro dell’Agricoltura come misura d’urto alla fillossera e qui rimase oltre cinquant’anni. Di lui Bruno Pastena, direttore dei Vivai governativi di viti americane di Palermo e docente di viticoltura, qualche anno dopo, ha scritto che “si dedicò con fede di apostolo e zelo certosino alla vasta e faticosa opera di ricostruzione dei vigneti siciliani, tanto che dobbiamo considerarlo il vero animatore, l’infaticabile artefice della moderna viticoltura nell’Isola”. Si comprende, dunque, perché la struttura di via Roccazzo sia poi stata intitolata allo studioso romano.

Gli uffici del vivaio Paulsen

Gli uffici del vivaio Paulsen

L’edificio recentemente ristrutturato che per tanti anni è stata la seconda casa di Paulsen, la sua stanza, la sua scrivania, libri, timbri, manuali, tutto è rimasto lì dove era sorto e non appena sarà effettuata la ristrutturazione di uno dei corpi bassi presenti all’interno del vivaio (per il quale è prossimo l’inizio dei lavori), sarà messo in bella mostra a disposizione di curiosi e visitatori. Ci sono i manuali francesi da cui studiava, i registri delle giornate di lavoro, l’erbario in cui custodiva con meticolosità tutte le varietà di vite, il carteggio con altri studiosi dell’epoca.

Alcuni dei libri di Paulsen

Dalla stanza di Paulsen, oggi quartier generale del dirigente del vivaio, Vito Falco, si possono osservare distintamente i filari degli alberi da frutta autoctoni – pero, melo, carrubo, mandorlo, albicocco – che si sta cercando di preservare per conservarne il patrimonio genetico. Un’attività portata avanti anche in periodi in cui sul tema della biodiversità e della sua salvaguardia non c’era tutta l’attenzione che c’è oggi. E poi ci sono i filari di viti e campi di barbatelle, i barbatellai, che sono uno dei fiori all’occhiello della produzione del luogo.

Barbatellaio

Barbatellaio

“Qui con Paulsen sono nati i portainnesti che la viticoltura del mondo ancora oggi utilizza – spiega Giacomo Ansaldi, enologo che fa parte del gruppo di ricerca del vivaio – quegli incroci di vite americana e vite europea che hanno dimostrato di resistere alla fillossera. Per i viticoltori sigle come 1103 P o 779 P o ancora 775 P, dove la P sta per Paulsen e che fanno riferimento ai portainnesti della vite, hanno sempre un significato di assoluta attualità. Con le sue ricerche, Paulsen in trent’anni ha risolto il problema della fillossera valutando anche l’adattabilità ai nostri terreni delle viti americane”.

Vito Falco e Giacomo Ansaldi

Vito Falco e Giacomo Ansaldi

“Noi oggi ci occupiamo della salvaguardia del patrimonio viticolo locale sia sui portainnesti, sia sui vitigni antichi – spiega il dirigente Falco – ovvero quei vitigni autoctoni di cui si erano perse le tracce, che sono stati ritrovati grazie a ricerche lunghe e meticolose e che abbiamo impiantato per effettuare le nostre ricerche e sperimentazioni”.

Il vivaio di Palermo si estende su sette ettari e conta anche su un centro di moltiplicazione delle barbatelle che poi vengono vendute ai vivaisti. “Privilegiamo i siciliani – afferma il dirigente – ma se ne abbiamo abbastanza, le diamo anche a vivaisti di altre regioni che ne fanno richiesta. Ogni anno facciamo circa venticinque mila piante”.

Altra attività fondamentale del vivaio è la moltiplicazione dei cloni. “I cloni sono le uniche piante delle quali, in base alla normativa europea, si possa garantire oltre alla varietà anche la sanità – aggiunge Ansaldi -. I “costitutori” hanno poi il compito di custodire la pianta madre in ambiente sano, in modo da garantire la sanità non solo della pianta stessa ma di tutta la specie”. In Italia sono solo otto i centri di premoltiplicazione, ovvero dei vivai specializzati che forniscono materiale di base ai vivaisti per dare origine ai campi di piante madri e il Paulsen è uno di questi.

A MARSALA UN’OASI DI ACINI RARISSIMI

I campi sperimentali di Marsala

I campi sperimentali di Marsala

Le ricerche e le sperimentazioni del vivaio Paulsen si ampliano e completano a Marsala, dove hanno sede altri campi sperimentali e dove si trova il laboratorio di analisi di biologia molecolare, virologia e fisiologia e dove si effettua la certificazione genetico-sanitaria. Tecnici ed esperti dell’unità specializzata vitivinicola dell’assessorato regionale all’Agricoltura, in pratica, fanno la spola tra Palermo e Marsala per collezionare dati e raccogliere frutti.

Nella campagna della cittadina del trapanese ci sono dieci ettari gestiti direttamente dai tecnici del vivaio. Si trovano tra i terreni di pertinenza della Fondazione “Antonietta Genna Spanò”, in località Biesina, in un’area in cui a farla da padrone è il verde dei campi. Lunghe distese a perdita d’occhio di filari di vite che, ad un primo distratto sguardo, potrebbero sembrare uguali ma che, invece, racchiudono tutte le differenze che le viti possono avere. Da quella con le foglie rosate a quella con l’apice color del rame, dalle foglie bitorzolute a quelle più lisce, da un accenno di grappolo a quelle a maturazione tardiva, questi campi sono per gli esperti e gli appassionati come un giro di giostra per un bambino.

Esempi di vite coltivata a Marsala

In uno spazio relativamente ristretto è possibile trovare tutta la Sicilia del vino con le sue caratteristiche e le sue diversità. Da una parte ci sono oltre una settantina di vitigni reliquia, quelli di cui per decenni si erano perse le tracce e che oggi, grazie al lavoro attento portato avanti da tecnici ed enologi dell’assessorato regionale all’Agricoltura, sono nuovamente disponibili e utili a ricostruire la storia dell’enologia in Sicilia. Dall’altra ci sono tutte le varietà di vite siciliana: ogni filare racchiude un tipo di uva diversa a rappresentare l’intera viticoltura isolana che ben si è adattata a Marsala. “Questa città non è stata scelta a caso per impiantare i vigneti sperimentali – spiega l’enologo Giacomo Ansaldi -. Già ai tempi di Paulsen si era deciso di impiantare qui dei vigneti perché questo territorio, con le sue caratteristiche e con il suo clima, è una buona sintesi di quello che è possibile trovare nell’Isola”. Nei campi di Biesina la vite cresce, si sviluppa, dà i suoi frutti che poi vengono trasportati nel laboratorio poco distante per essere analizzati.

Laboratorio di Marsala - microvinificazioni

Laboratorio di Marsala – microvinificazioni

“In laboratorio facciamo tutti i test necessari, estraiamo ad esempio il dna per sapere esattamente con quale vitigno abbiamo a che fare – continua Ansaldi -. Qui facciamo anche le micro vinificazioni, circa centocinquanta all’anno, per vedere come si comporta il vino e che caratteristiche ha e siamo in gradi anche di mappare gli aromi dell’uva, cosa che è certamente un grande aiuto per gli enologi”. In questo laboratorio di contrada Bosco, in cui lavorano nove tecnici, sono nati i campioni di vino da vitigni reliquia, quei pochi che sono stati presentati e degustati al Vinitaly, ad esempio.

Al primo piano della struttura, inoltre, c’è una sala degustazione professionale dove è possibile assaggiare i vini realizzati e dove vengono organizzati anche corsi di introduzione alla conoscenza del vino per appassionati e neofiti per guidarli a un consumo consapevole e renderli in grado di apprezzare la qualità del prodotto.

TREMILA ANNI DI SICILIA ENOLOGICA IN UN MANUALE

Per documentare la varietà dei vigneti presenti in passato in Sicilia, tecnici e studiosi che fanno capo all’assessorato regionale all’Agricoltura, hanno messo insieme tutto il materiale raccolto in oltre dieci anni di ricerche condotte in giro per l’Isola riunendo informazioni e dati avuti direttamente da anziani contadini e viticoltori. Sono riusciti a collezionare preziose testimonianze di varietà antiche di uve che rischiavano di perdersi del tutto e che, invece, sono sopravvissute solo grazie a particolari condizioni climatiche o paesaggistiche.

Da tutte queste informazioni è nato un corposo volume curato da Giacomo Ansaldi, Dario Cartabellotta, Vito Falco, Francesco Gagliano e Attilio Scienza, dal titolo “Identità e ricchezza del vigneto Sicilia”, che documenta con foto, dati, cenni storici e caratteristiche, una ad una le varietà di vitigni di interesse regionale, quelli di interesse locale e i vitigni antichi o reliquia, di cui per decenni si erano perse le tracce. Poco meno di trecento pagine con ampio corredo fotografico che dimostrano come la Sicilia, disponendo di varie tipologie di clima e terreno, abbia consentito ad un grande numero di vitigni introdotti nel corso dei millenni di diffondersi nelle aree più adatte.

Il libro, illustrato nei giorni scorsi al Vinitaly, sarà presentato il prossimo 23 giugno nella  Sala Gialla dell’Assemblea regionale siciliana, con l’intento di promuovere una ricerca completa e unica nel suo genere, mettendola a disposizione non solo di addetti ai lavori  ma anche di appassionati e curiosi.

Alcune pagine del libro sono dedicate alla storia dell’ampelografia e della viticoltura siciliana, altre alla selezione sanitaria dei vitigni, altre ancora a considerazioni sulla composizione polifenolica ed aromatica dei vitigni che si trovano nel campo sperimentale di Marsala.

“La Sicilia dispone di una miniera ancora inesplorata sulla varietà dei vitigni di cui si era persa la memoria – spiega l’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici -. Questa pubblicazione è un manuale per le future generazioni di imprenditori vitivinicoli. La Sicilia sarà più ricca quando questi vitigni entreranno in produzione e metteranno nei calici dei consumatori globali il valore della nostra storia. Abbiamo intenzione di valorizzare al massimo questa ricerca – dice l’assessore – per sensibilizzare appassionati, imprenditori agricoli, professionisti e giovani. L’obiettivo è andare oltre il confronto accademico per trasformare questo patrimonio documentale in uno strumento concreto a disposizione delle strategie di sviluppo del brand Sicilia. Siamo pronti a lanciare la sfida al mondo sul terreno della qualità e della biodiversità, sfruttando il retaggio che si cela dietro i 3000 anni di storia del vigneto siciliano”.

COSÍ BEVEVANO I FENICI: ECCO IL PERPETUUM, L’AVO DEL MARSALA

Botti di Perpetuum

A Marsala è custodita la più grande collezione privata al mondo di vino perpetuo, l’antenato del Marsala e  diretto discendente del Passum, il vino passito dei Fenici. Un lavoro di selezione certosino portato avanti per circa trent’anni raccogliendo il testimone dalle famiglie agricole della zona di Marsala e dintorni, ha permesso all’enologo Giacomo Ansaldi di mettere insieme il più grande campionario esistente di Perpetuum, come lo definivano i latini. “Sin dai tempi dei primi colonizzatori fenici e cartaginesi, nel territorio marsalese e in gran parte della Sicilia occidentale si produceva un vino naturale, frutto di uve Catarratto e Inzolia, tradizione che proseguì nei secoli successivi grazie alle famiglie contadine”, spiega.

Il nome “perpetuo” si deve al fatto che, chi poteva permetterselo, conservava il vino per perpetuarlo nel tempo, appunto. Quello che veniva prelevato dalla botte, periodicamente, veniva reintegrato da nuovo vino, preferibilmente dello stesso tipo, con un rabbocco che mescolava le annate e le lasciava invecchiare in botte. Si tratta di vini dalla forte gradazione alcolica che permette di mantenerli così a lungo e caratterizzati da una forte acidità.

“I perpetui venivano usati per festeggiare grandi occasioni e ricorrenze – spiega Ansaldi -. Di alcuni vini conosco la data esatta perché vennero creati in occasione di eventi importanti come la nascita di un figlio. È il caso del più antico che ho in bottaia, datato 1957. Sono questi i vini che hanno fatto innamorare gli inglesi e da cui poi nacque il Marsala”. La collezione, custodita nei sotterranei del baglio Donna Franca a Marsala, è composta da ventotto botti per un totale di circa 50 mila litri di vino Perpetuo di diverse annate.

pubblicato sul Giornale di Sicilia del 28 aprile 2017

 

 

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