Diffidate dai palermitani che vi dicono che in città non succede nulla di interessante. Palermo, per chi ci abita, è spesso ovvia, scontata. Ma in questi ultimi tempi si sta dando da fare per mostrare il suo aspetto migliore, quello più ricco e vivace dal punto di vista culturale ed enogastronomico. Una bella scossa per la Palermo culturale è arrivata, senza dubbio, dall’Unesco e dall’inserimento dell’itinerario arabo-normanno tra i patrimoni dell’umanità. Quella gastronomica, invece, è iniziata un paio di anni fa con le due nuove stelle Michelin assegnate in provincia, ma già i tempi erano maturi per il lento riscatto. E così, ad affiancare lo storico Bye Bye Blues della chef Patrizia Di Benedetto a Mondello, il primo stellato palermitano, oggi c’è il ristorante I Pupi dello chef Tony Lo Coco che si trova a Bagheria, la cittadina delle ville e del museo Guttuso, a pochi chilometri da Palermo e Il Bavaglino, dello chef Giuseppe Costa, esattamente dall’altro lato della costa, a Terrasini, territorio di mare e scogli.
“Palermo sta senza dubbio vivendo una rinascita – ammette lo chef Lo Coco – c’è ancora molto da fare ma è evidente che la città sta cambiando, che risponde bene agli stimoli che arrivano da una cucina più attenta e raffinata e mi fa piacere anche che ci siano imprenditori che ci credono e sono disposti ad investire”. Come hanno fatto, ad esempio, Franco Virga e Stefania Milano, titolari del Gagini – con la cucina affidata al giovane Gioacchino Gaglio – ma anche di Buatta, formula più easy sul Cassaro, percorso turistico per eccellenza e di Bocum, locale ideale per una buona bevuta in compagnia, tra arredi vintage, luci soffuse e buona musica. “Nella rinascita di questa città ci abbiamo creduto sin dal 2011 – raccontano – quando tutti ci dicevano che eravamo pazzi perché aprivamo nel centro storico. Cerchiamo di fare ristorazione di qualità pensando al turismo come ad una risorsa”.
Visitare Palermo è dunque un’esperienza che coinvolge tutti i sensi, spesso contemporaneamente: monumenti e osterie si intrecciano nei vicoli del centro storico, così come odori e sapori che raccontano di antiche dominazioni e ricche contaminazioni.
Il palermitano è la terra del vino Perricone, oggi nuovamente in auge dopo anni di abbandono, di materie prime eccellenti come il mandarino tardivo di Ciaculli, coltivato dal Consorzio che sta cercando di salvare un pezzo della Conca d’oro; delle susine gialle di Monreale, dolci e succose. Nelle campagne della provincia di Palermo si produce il miele di ape nera sicula, salvata dall’estinzione. Ad Aspra, borgata marinara vicino a Bagheria, si fa la colatura di alici locali. Nella zona di Cinisi, si alleva la vacca cinisara, dal cui latte si ricava il caciocavallo palermitano. “Questo formaggio – raccontano Teresa e Gino Armetta, dell’omonima gastronomia a San Lorenzo – è prodotto nel rispetto della tradizione. Il gusto è unico perché ha tutte le caratteristiche dei luoghi di produzione e l’eleganza che ritrovi nel portamento delle cinisare”.
Tante materie prime di qualità che non è difficile ritrovare nelle cucine di chef che hanno già tracciato la loro strada. Come Carmelo Trentacosti, del Cuvee du Jour, il ristorante gourmet di Villa Igiea, albergo a cinque stelle con vista sul porticciolo dell’Acquasanta, con le sue proposte raffinate di grande gusto. O come Gaetano Billeci, che gestisce il ristorante di Palazzo Branciforte, a pochi passi dalla centralissima via Roma, con una carta ispirata alla tradizione, rivitalizzata con gusto e qualche guizzo più ardito.
Sempre in centro, per gli appassionati della cucina locale, alleggerita ma non per questo meno saporita, c’è la Locanda del gusto, il ristorante del Quinto Canto Hotel, nel quadrivio più suggestivo della città, “I quattro canti”, tra corso Vittorio Emanuele e via Maqueda a pochi passi dalla Cattedrale. Facendo strada in direzione del mare, tra vicoli, piccole botteghe, chiesette e altari votivi, si arriva a piazza Marina dove svetta un gigantesco ficus ritenuto il più grande d’Europa. Dopo una pausa ristoratrice alla Cioccolateria Lorenzo, con ottime torte e croissant, è il caso di spingersi in via Alloro per visitare il museo Abatellis, acquistare un po’ di calia e simenza (frutta secca) nella bottega di via Torremuzza e arrivare a Santa Maria dello Spasimo, nel cuore della Kalsa, uno dei più antichi quartieri della città, ad ammirare questa chiesa senza tetto dalla forte suggestione. Poco più avanti c’è Flam, accogliente osteria contemporanea gestita dai fratelli Flavio e Mirco Mannoia. Flavio, in cucina, propone rielaborazioni della tradizione con un occhio anche ad ingredienti meno classici nella cucina palermitana; Mirco, in sala, consiglia i clienti con garbo e competenza.
Mercati e street food
Tra i luoghi di grande richiamo a Palermo non possono mancare i tre mercati storici: la Vucciria, reticolo di viuzze fra via Roma e il Cassaro, piazza Garraffello e piazzetta Caracciolo, negli anni sempre meno mercato e sempre più luogo di movida fatta di musica a tutto volume, panini conditi in strada, grandi griglie per la salsiccia alla brace e birra ghiacciata. Da Porta Carini ci si immette al mercato del Capo: pesce, carne, frutta e verdura, spezie e odori. Fra un assaggio di panelle, un pezzo di sfincione e un panino con la milza (meusa in siciliano), tra i protagonisti dello street food locale, ci si inoltra a Ballarò, il terzo mercato della città, dove venditori di frutta e verdura si alternano a stranieri naturalizzati che vendono prodotti dei paesi d’origine.
Ricotta, crema e gelati. La tradizione del dolce
Un cenno, immancabile, va fatto alla ricca pasticceria palermitana che affonda – è proprio il caso di dirlo – molta della sua fama nella prelibatezza della crema di ricotta dei cannoli o della cassata, che sia quella classica o la versione al forno. Imperdibili quelle delle pasticcerie Oscar e Cappello. In provincia da assaggiare gli ottimi dolci di Sciampagna a Marineo. E poi pasta di mandorle, biscotti reginella con semi di sesamo e, in estate, gelo di anguria e una brioche con gelato e panna a La Delizia di Sferracavallo, per chiudere in dolcezza.
Il Perricone sta a Palermo come il Nerello all’Etna
Il Perricone, uno dei vitigni autoctoni a bacca rossa, sta al palermitano come il Nerello Mascalese sta all’Etna. Solo che la sua storia è ancora da scrivere nonostante, a fine ottocento, fosse uno dei più coltivati nelle province di Palermo e Trapani. Utilizzato in passato per la produzione del Marsala Ruby, è stato progressivamente abbandonato e deve la sua rinascita alla lungimiranza e all’attaccamento al territorio di alcuni produttori che lo hanno mantenuto in vita. “Quando ho iniziato a coltivare Perricone nel 2009 – racconta Marco Sferlazzo, titolare dell’azienda Porta del vento – c’erano altri cinque produttori a farlo. Oggi siamo circa diciotto”, segno di un rinnovato, crescente interesse nei confronti di questo vitigno dal carattere a volte un po’ spigoloso ma dalla versatilità straordinaria.
Il Museo dell’acciuga nell’antica fabbrica
Aspra, piccola borgata marinara vicina a Bagheria, ad una ventina di chilometri da Palermo, custodisce un museo unico nel suo genere, interamente dedicato all’acciuga, la cui lavorazione ha dato per anni sostentamento alle famiglie del luogo. Realizzato dai fratelli Girolamo e Michelangelo Balistreri nella vecchia sede della loro azienda conserviera, il museo custodisce oggetti e storie legate alla pesca e alla lavorazione del pesce che sono uno spaccato della storia dei luoghi. Dalle pietre litografiche agli arnesi per la pesca, dalle attrezzature per la salatura alla riparazione delle imbarcazioni, passando per documenti che attestano storie con alone di leggenda, come quella che voleva che i salatori di Aspra, insieme con quelli di Terrasini e Sciacca, fossero bravi, ma così bravi da essere chiamati in Spagna per insegnare alle popolazioni del posto l’arte della salatura. Il museo si può visitare gratuitamente su prenotazione.
Pubblicato sul Gambero Rosso di giugno 2017
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