Clara Minissale

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Frutti subtropicali di Sicilia

frutti subtropicali siciliani

In provincia di Messina si coltivano quindici diversi tipi di mango che per metterli insieme bisognerebbe fare il giro del mondo. A Ficarazzi, in provincia di Palermo, si trova, invece, la papaya e nel catanese l’avocado. L’Isola è la sola regione in Europa in cui si producano lychee.

La Sicilia è sempre più subtropicale. Merito di alcuni imprenditori che, anni fa, hanno scommesso su una fetta di mercato che era ancora tutta da esplorare e la cui intraprendenza e lungimiranza, oggi, fa da guida a giovani che vogliono tornare all’agricoltura ma con in mente una idea ben precisa: diversificare la loro offerta.

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Pietro Cuccio che coltivare frutti tropicali a Caronia, nel messinese, fosse un’impresa possibile, lo ha capito già nel 2001. Forte della sua esperienza trentennale in America, ha deciso di tornare a casa e, col supporto dell’Università di Hilo in Hawaii, ha avviato le prime coltivazioni di mango. Oggi la sua azienda si estende su quindici ettari in cui coltiva anche avocado, lychee, di cui è produttore unico in Europa, longan e carambola.

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“Quando ho iniziato, esisteva in Sicilia una sola cultivar di mango, la Kensington, che era la più resistente e che era stata portata nell’Isola dal professore Franco Calabrese di ritorno da uno dei suoi viaggi in sud America – spiega Cuccio -. La mia idea era quella di un’agricoltura di riscatto, gli agrumeti mi sembravano ormai superati e l’implementazione delle specie subtropicali mi è parsa la via giusta”. Dopo anni di intenso lavoro e di studi portati avanti in collaborazione con l’Università di Palermo, oggi Cuccio esporta in tutta Europa undici varietà di mango che in Sicilia si sono adattate egregiamente dando frutti di qualità eccellente. “Raggruppiamo quasi tutte le cultivar, da quelle sudamericane a quelle asiatiche pregiate e produciamo da luglio a novembre fino a circa 40 mila chili all’anno di frutti”, dice l’imprenditore. Frutti che ha portato in degustazione, dal pregiato Mallika asiatico al Masanillo all’Osteen, ad uno degli appuntamenti de “Le vie dei sapori” (una serie di incontri con prodotti d’eccellenza siciliani organizzata da Sanlorenzo Mercato e dall’Università di Palermo e inserita ne “Le vie dei tesori”) e che sono serviti come spunto per raccontare la sua esperienza per incentivare i giovani ad investire in questo settore.

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Chi lo sta già facendo con risultati che lasciano ben sperare è Luigi Speciale. Trent’anni, una laurea in archeologia, qualche esperienza lavorativa all’estero e un terreno del nonno nelle campagne di Ficarazzi, in provincia di Palermo, da mettere a frutto. “Sono tre anni che lavoro all’idea di una papaya di Sicilia insieme con il dipartimento di Agraria dell’Università – racconta -. Da quando ho iniziato ad oggi, siamo passati dalle iniziali 50 piante a trecento. Il nostro obiettivo è arrivare a tremila che è la quantità giusta di piante da poter gestire senza compromettere la qualità del frutto. Abbiamo già trovato un terreno nella valle dell’Oreto per estendere la coltivazione e adesso ci piacerebbe trovare agricoltori che vogliono investire in questo mercato con i loro terreni. La cooperazione è necessaria per avere prodotti vincenti”. La papaya di Sicilia si raccoglie da aprile ad ottobre e al momento tutti i frutti restano sul mercato interno.

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Altra provincia, altro frutto. Andrea Passanisi a Giarre in provincia di Catania, coltiva avocado. Una folgorazione, la sua, avvenuta durante un viaggio in Messico fatto quando aveva diciassette anni e già guardava lontano. Energico e appassionato, Andrea, che oggi di anni ne ha 32, parla di vocazione del territorio, di sinergia tra agricoltori, di identità dei luoghi e racconta di come i suoi avocado gli siano valsi anche il premio Oscar Green di Coldiretti. “Prima di specializzarmi in questa coltivazione, ho fatto diverse prove e mi sono reso conto che la zona Ionica, per le sue condizioni pedoclimatiche, per i suoi terreni vulcanici ricchi di minerali e per l’acqua pura che noi prendiamo a 130 metri di profondità, erano particolarmente adatta alla coltivazione dell’avocado. Il suo auspicio, adesso, è quello di fare squadra con altri che, come lui, hanno creduto e credono nelle specie subtropicali “che non sostituiscono arance e limoni o qualsiasi altra coltura autoctona ma possono dare una mano alla nostra economia”.

pubblicato sul Giornale di Sicilia del 13 ottobre 2016