Clara Minissale

pensieri e parole in punta di coltello. E forchetta

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Pupi di zucchero e altre dolcezze

È una tradizione che si tramanda di padre in figlio, un’arte dolciaria i cui segreti passano oralmente tra le generazioni. Ma di passaggio in passaggio, qualche pezzo si perde, sostituito da nuovi gusti e nuove tendenze. Eppure la saga dei dolci delle feste siciliani che simbolicamente prende il via con le festività di inizio novembre, ha ancora i suoi custodi nell’Isola, pasticceri che continuano a produrre secondo tradizione, magari con qualche piccola concessione alle mode del momento.

Vincenzo Rosciglione

Vincenzo Rosciglione, ad esempio, rappresenta a Palermo la quarta generazione di una famiglia che porta avanti la tradizione pasticcera siciliana da oltre centosettant’anni. E al lavoro c’è già anche la quinta generazione. Il laboratorio di via Montalbo, a Palermo, appartenuto ai suoi avi, oggi ospita lui, il fratello Pietro e le loro famiglie, figli, nipoti e cugini, saldamente tenuti insieme dall’arte dolciaria.

pupi di zucchero in lavorazione: la colorazione

In questi giorni di inizio novembre il laboratorio è una fucina nella quale si lavora a ciclo continuo per realizzare i tradizionali pupi di zucchero, i “pupaccena”, che si regalano ai bambini nei giorni della festività dei defunti. Una tradizione che non è più salda come un tempo ma che la famiglia Rosciglione difende strenuamente producendo pupi di zucchero tutto l’anno.

la cottura dello zucchero nella pentola di rame

Gli uomini si occupano della preparazione a base di zucchero e acqua fatta in una pentola di rame “che conduce meglio il calore – spiega Vincenzo -. Facciamo arrivare acqua e zucchero ad una temperatura di 135 grandi per una decina di minuti, poi si toglie la pentola dal fuoco, si mescola energicamente per far diventare lo zucchero opaco e poi si versa il composto negli stampi precedentemente bagnati in modo che lo zucchero si stacchi dalle pareti.

gli stampi di gesso per i pupi di zucchero

Vincenzo Rosciglione e Filippo Li Bassi

lo zucchero viene versato nelle forme

Dopo una decina di minuti la figura è pronta. Si lascia raffreddare per un’oretta e poi si può colorare e lucidare”.

lo zucchero nelle forme viene rifinito a mano

il pupo di zucchero pronto per essere tirato fuori dallo stampo

Della colorazione si occupano le donne di casa armate di pennelli e colori alimentari, appassionate di pupi e cavalieri, come tradizione comanda, ma abituate anche a dipingere i nuovi beniamini dei bambini come Masha e Orso o i Piagiami.

la sagoma di un pigiamino, beniamino dei bambini

“Certo – dice Vincenzo con una punta di rammarico nella voce – oggi non se ne vendono più tanti come una volta. I pupi grandi non sono più di moda mentre un tempo si usava regalarli anche quando nasceva il primo figlio maschio e si realizzavano pupi alti anche 80 centimetri o enormi cavalieri che per crearli servivano stampi che pesavano 40 chili. Oggi il pupo più grande che ci viene richiesto non supera il mezzo chilo”. E in questo amarcord, Rosciglione racconta di quando, da bambini, “i pupi si mangiavano solamente nella parte posteriore perché erano così belli che le mamme volevano esporli in vetrina e la parte frontale doveva restare intatta. Io ho sempre vissuto in pasticceria con mio papà – racconta – e oggi molti dei dolci della tradizione siciliana che facevamo si sono persi. Penso alla Maria Stuarda, una frolla con conserva di cedro, oppure alle Iris col tappo nate per recuperare le brioches avanzate che venivano inzuppate col latte, riempite di ricotta, passate in una lega di acqua e farina, poi nel pangrattato e fritte. O ancora la pietrafennula, una specie di torrone con cedro, arancia e mandarini canditi cotti col caramello morbido, quella stessa morbidezza che dava il nome al dolce, fennula, ovvero fondente, che si scioglie in bocca”.

 

Articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia del 4 novembre 2017

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