Clara Minissale

pensieri e parole in punta di coltello. E forchetta

Luoghi, Persone

Favignana, l’isola del tonno

Qui le cialome le hanno ancora nelle orecchie. Li sentono ancora questi canti un po’ arabi un po’ siculi che scandivano il lavoro dei tonnaroti, sebbene di tonnaroti al lavoro, da queste pari, non se ne vedano più da un pezzo. Eppure Favignana per anni è stata la regina indiscussa della pesca e della lavorazione del tonno.

la tonnara Florio

Un primato del quale ci sono ancora evidenti tracce nell’ex stabilimento Florio, oggi un museo frequentatissimo che racconta e rappresenta perfettamente quale fosse la vita dei favignanesi al tempo in cui il tonno, il Thunnus thynnus, quello rosso del Mediterraneo, il più pregiato, si pescava in grande abbondanza.

Giuseppe Giangrasso

A raccontarla questa vita ci pensa Giuseppe Giangrasso, u zu Peppe per i favignanesi, che dentro questa tonnara praticamente ci è cresciuto. Oggi fa lui gli onori di casa e narra con una cantilena tutta sua che è un mix italo-siculo, di quando questo stabilimento era un gioiello all’avanguardia, un vanto per tutti gli abitanti dell’isola. Qui c’era un asilo nido per i figli dei dipendenti e per le mamme lavoratrici era prevista la pausa allattamento. Gli operai assunti erano tanti, più di ottocento, più di quanti ne contasse la Fiat a Torino e per questo, per i favignanesi andare alla tonnara era andare a “Turino”.

Lui, che di anni oggi ne ha settantotto, tutte queste cose le ha vissute e se le ricorda bene.

La tonnara fissa

Racconta come veniva pescato il tonno, attraverso un sistema di tonnare fisse che nulla hanno a che vedere con le tonnare volanti che hanno depauperato il mare da quello che per loro era il pesce più prezioso.

Racconta di come questo pesce, enorme, venisse issato sui vascelli, portato in tonnara, pulito e lavorato per conservarlo in latte di acciaio in banda stagnata fatta arrivare appositamente da Genova e assemblata a Favignana.

Il tonno veniva cotto in enormi contenitori posti sul fuoco alimentato a legna, poi sostituito dalla cottura a vapore. E poiché del tonno non si butta via nulla, si ricavava olio di pesce usato come impregnante per le barche e dalle ossa si faceva farina per sfamare gli animali.

La cottura del tonno

Racconta anche del Rais u zu Peppe, una figura epica a metà tra uomo e divinità marina, colui dal quale dipendeva l’intera stagione della pesca. “Più bravo era il Rais, più tutti volevano andare a lavorare con lui”, dice. Perché al Rais, al capo, spettava innanzitutto il compito di costruire la tonnara nel più breve tempo possibile: 8 chilometri di rete da assemblare con precisione e perizia. Quindi era sempre a lui decidere quando calarla in mare, dove si ancorava al fondo con grossi conci di tufo – 3.500 per fissarne una, dice u zu Peppe – e dove rimaneva per 40 giorni. E quando tutte le camere della tonnara si erano riempite di tonni, dava l’ordine perché iniziasse la mattanza. I tonnaroti iniziavano a tirare su la rete, sempre più tesa, sempre più in alto. I tonni si ritrovavano improvvisamente ad annaspare quasi fuori dall’acqua e dalle barche si iniziava il delicato lavoro di braccia e concentrazione per non lasciarsi colpire dagli animali che cercavano di liberarsi.

“Alla tonnara il Rais si rivolge come se fosse una donna”, racconta u zu Peppe e quando intona i versi di una cialoma, parla di una tonnara calata vergine in mare che poi torna su gravida di tonni.

Nel 1859 nella tonnara di Favignana vennero pescati 10.159 tonni; nel 1865 furono 14.020. Nel 2007, ultimo anno in cui si è svolta la mattanza, di tonni ne sono stati pescati poco più di un centinaio. Un lento declino che, negli anni, ha portato alla chiusura della struttura prima e alla perdita delle quote per la pesca del tonno successivamente, quote che l’isola sta tentanto di riavere con tutte le sue energie, nella speranza di rimettere in moto la macchina della pesca e della trasformazione in chiave sostenibile.

Favignana, infatti, si trova nella più grande Area marina protetta d’Europa e punta al ritorno al sistema delle tonnare fisse perché è tra i metodi di pesca meno invasivi.

“La cattura dei tonni con le tecniche tradizionali, tonnare fisse o piccola pesca, costituisce un modello produttivo di economia del mare davvero sostenibile – spiega Dario Cartabellotta, dirigente del dipartimento della Pesca della Regione siciliana -. I tonni, dalle fredde acque atlantiche, superando Gibilterra, si dirigevano spediti verso le nostre coste, in una sorta di viaggio di nozze collettivo per generare nuova vita e nuovi esemplari. Nelle tonnare fisse avveniva la procreazione dei tonni. Con le tonnare volanti e le gabbie, invece questo non succede. Per questa ragione il Mediterraneo si è impoverito dei tonni rossi e solo grazie alla politica delle quote, a partire dal 2010, si è registrato l’aumento dei tonni certificato dalla comunità scientifica internazionale”.

E in forza di questo aumento, Favignana rivorrebbe le sue quote, almeno 100 tonnellate, che garantirebbero una congruità in grado di sostenere economicamente la sua tonnara.

Maria Guccione

Una causa che sono in tanti a sposare da queste parti. Come Maria Guccione, quarantadue anni trascorsi a gestire con la sorella un rinomato albergo ristorante a Favignana, portavoce, oggi, della necessità, per la più grande delle Egadi, di tornare alla pesca del tonno con il sistema delle tonnare fisse, lei che del tonno sa e conosce tutto e lo racconta come si fa con il più pregiato dei prodotti del pescato.

“Quando la tonnara ha chiuso, nel 2007, per noi è stato un colpo durissimo – racconta – perché ci identificavamo in questa tonnara. Ricordo che la vita dell’isola era tutto un fervore, si pescava molto, si lavorava con intensità. Qui tutti hanno sempre mangiato tonno, ricchi e poveri, ed io ho ancora nelle narici l’odore del pesce che cuoceva nello stabilimento e che per noi era segno di ricchezza”.

Questa donna, che la vita ha privato dei genitori troppo presto, ha messo intelligenza e cultura a servizio delle braccia e, lasciato il lavoro di insegnante, per anni si è data da fare per recuperare antiche ricette del posto che avessero il pesce come protagonista, intendendo la cucina come un mediatore culturale del territorio. Ancora oggi – ha chiuso il ristorante nel 2003 – il suo nome è indissolubilmente legato alla buona cucina favignanese.

Prodotti di tonnara

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